Picci batté l’ultimo tasto della parola conclusiva
dell’articolo e si girò per guardarsi intorno. Il giornalista seduto alla
scrivania dietro di lui abbassò subito lo sguardo fingendo di essere impegnato
nello studio di qualche dato importante sui suoi fogli. Picci ne dedusse che il
giornalista lo stava osservando sospettoso.
Non era normale che uno dei fonici di radio 119 (la radio legata al
quotidiano) si mettesse seduto a battere un testo ad uno dei computer della
redazione del giornale cartaceo ed effettivamente Picci non l’aveva mai fatto
prima. Questa volta però aveva deciso di mettere in gioco il tutto per tutto. Era stufo di leggere minchiate e falsità
diffuse da quel giornale del cazzo in tutta la città e la regione. In particolare non poteva tollerare che si
scrivessero stronzate sulla pelle di quella persona in quel particolare
momento. Dopo aver dato una rilettura veloce al testo tirò fuori dalla tasca
una chiavetta e la infilò nel computer. Il giornalista continuava a sbirciarlo
con un occhio solo cercando di non far notare la sua sorveglianza. Quel posto
era pieno di spie e Picci era da tempo virtualmente schedato come un sovversivo
che prima o poi avrebbe potuto creare problemi. Non ne era certo ma sospettava
che spesso i giornalisti e i suoi colleghi andassero in segreto a riferire su
di lui al direttore. Estrasse la chiavetta su cui aveva caricato l’articolo e
piano, come se i suoi gesti fossero spensierati e casuali si alzò per dirigersi
verso il terminale di stampa. Una fredda
goccia di sudore gli imperlava la fronte. Era tardi e la redazione era quasi
vuota. I computer erano in stand-by e le luci erano spente sulla maggior parte
delle scrivanie del vasto salone. A breve il giornale sarebbe andato in stampa
e qualunque cosa fosse stata spedita dal terminale in quel momento sarebbe
stata impaginata automaticamente e passata direttamente alle rotative. Non ci
sarebbe stato il tempo di bloccarne la diffusione. Mentre si avvicinava al
terminale vide con la coda dell’occhio
che il giornalista ormai lo fissava
apertamente e che ora aveva alzato la
cornetta del telefono e stava componendo un numero. Il giornalista aveva capito
e Picci doveva sbrigarsi. In quei giorni aveva cercato di protestare contro la
serie di puttanate diffuse dal giornale ma non era stato neanche lontanamente
preso in considerazione ed anzi il direttore l’aveva velatamente minacciato di
licenziamento se non fosse rimasto al suo posto. Ma ora basta, era ora di
finirla e di dire la verità. Infilò la
chiavetta e caricò l’articolo sul terminale. In basso sulla sinistra dello
schermo un count-down a cifre rosse segnava il tempo ultimo entro il quale era
possibile spedire qualcosa prima che le rotative iniziassero a stampare.
Segnava un minuto e zero due alla stampa. Il giornalista chiuse il telefono ed
iniziò ad alzarsi. Nel corridoio adiacente al salone Picci udì aprirsi cigolando la porta vetri del
direttore. L’articolo finì di caricarsi e apparve una finestra. Vuoi
sostituire l’articolo esistente? Sì. Dal corridoio proveniva
il suono di passi affrettati, le scarpe di pelle dura del direttore battevano
sinistre contro il marmo del pavimento. Una serie di finestre si aprirono in
successione sullo schermo. Il giornalista intanto si stava avviando verso di
lui chiamandolo per nome “Ehi Cristiano! Ti devo parlare..”. Lo ignorò. Vuoi sostituire la firma all’articolo in stampa?” No. Vuoi sostituire la foto?Sì.
Picci caricò la foto che aveva sulla
pennetta. “Vuoi
impaginare allo stesso modo? Sì. Caricamento. Le cifre rosse segnavano ora 50 secondi. Il
direttore con la sua figura tozza spuntò dal corridoio e quasi si mise a
correre. “Cristiano fermati ti devo
parlare…” diceva il giornalista anche
lui ora quasi correndo. Vuoi inviare l’articolo. Sì. “Sei sicuro? Si, cazzo! 40 secondi rossi. Articolo pronto ad essere inviato.
Per dare ultima conferma premere” Invio”. Picci alzò il braccio e il suo dito indice
stava quasi per premere il tasto quando si sentì afferrare vigorosamente il
polso. Il suo polpastrello rimase bloccato sfiorando appena la scritta nera “Invio”.
Picci alzò lo sguardo e gli occhi glaciali del direttore lo stavano fissando
con odio. A meno di cinque centimetri
dal suo viso le labbra fetide del direttore dissero minacciose: “Ulivi
cosa pensa di fare?”. Da sotto quei baffi grigi il suo alito puzzava di uova
marce. Nel frattempo il giornalista li aveva raggiunti e stava ritto a braccia
conserte in piedi dietro la sua sedia. 30
secondi. Picci si alzò allargando un finto sorriso. La stretta dell’omino tozzo
era d’acciaio. “Ma no direttore -disse sempre sorridendo- cosa pensa! La Farlero
mi ha chiesto di correggere il suo articolo sulla
puzza-di-piedi-degli-adolescenti-in-città e lo stavo mandando adesso…” Un lampo di esitazione passò nelle iridi
scure del direttore. La puzza di piedi degli adolescenti in città era il pezzo
forte dell’edizione del giorno dopo. La Farlero si era guadagnata la prima
pagina con tanto di fotografie a colori. Tutto doveva essere perfetto in quel
servizio perché, come il direttore stesso era solito ripetere: “Il nostro è un grande giornale!” 25 secondi. Quell’esitazione era l’effetto che
Picci aveva cercato. Sentì la stretta al
polso allentarsi lievemente. Il giornalista dietro di lui stava per ribattere
che era assurdo che Ulivi non si occupava mai di quelle cose ma Picci non gli
lasciò il tempo di aprir bocca. Con il braccio libero sferrò un pugno alla
tempia del direttore. La forza dell’impatto fu tale che questi rotolò su una
scrivania e portandosi dietro lo schermo di un computer cadde dall’altra parte
in una nuvola di fogli. 15 secondi. Picci si girò verso il giornalista che era
rimasto sbigottito, immobile con la bocca aperta ed un dito alzato come se
stesse ancora per parlare. Come un toro, Cristiano lo caricò con una testata
allo stomaco. Nello slancio i due
percorsero un paio di metri e poi sfondarono la parete di vetro che, nel salone,
separava l’ufficio dedicato alla cronaca nera. La lastra esplose in milioni di
fragorosi frammenti. Insanguinato Picci
si alzò dal corpo incosciente del giornalista in camicia bianca e corse verso
il terminale di stampa. “ Mancano dieci secondi alla stampa del giornale!” diceva una voce metallica femminile
proveniente dall’apparecchio. 9, 8 ,.. Puntò il dito verso la tastiera ma in quel
momento sentì una fitta atroce al polpaccio destro. Da terra, semisvenuto, il
direttore aveva trovato la forza di piantargli una matita nella gamba. Picci cadde e gridò in un gemito di
sofferenza. 7, 6.. In uno zampillio di
sangue estrasse la matita dalla carne del muscolo. Il direttore cercò di afferrarlo per il risvolto
dei pantaloni. Picci si divincolò e gli
sferrò un calcio sul naso sentendolo frantumarsi sotto la suola della scarpa.
Che soddisfazione … 5, 4.. Con uno sforzo sovraumano si issò sul bordo della
scrivania ma la mano sporca di sangue scivolò sullo spigolo 3,2.. Prima di cadere Picci sferrò una manata
casuale sulla tastiera. 1, 0 : “Il
giornale è andato in stampa” disse la
voce metallica del terminale. Sdraiato
in terra esausto Picci non riusciva più ad
alzarsi. Il sangue usciva a fiotti dalla sua gamba ed una pozza scura si stava
allargando sul pavimento. Sentì le forze svanire e piano i suoi occhi si
chiusero nel buio più assoluto. Sullo
schermo sopra di lui una finestra lampeggiava ad intermittenza.
L’articolo è stato
inviato con successo . premere
“Ok” per continuare.
(questo è un racconto di fantasia, ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale)