Pioggia. Finalmente. Batte sui vetri, odora di umido. Scorre
sulla pelle, per le strade in un dolce silenzio. Quello che trovi ad Auschwitz
è un deserto che ti porti dentro per giorni. L’aridità del male che ha preso
forma concreta, spropositata nella lucidità e nella quantità degli omicidi. Il
male trasuda da quella terra. In quei boschi, in quel prato oltre i fili
spinati e i resti delle baracche. Oltre le rovine delle camere a gas e dei
forni crematori, nelle ceneri di centinaia di migliaia di esseri umani sparse
dentro uno stagno, trasuda. Chiudi gli occhi un istante e provi ad immaginare i
passi che hanno solcato quei terreni, mucchi di persone dirette alla morte, ma
non ce la fai, non ci riesci è davvero troppo grande. Apri gli occhi e non ne
vedi la fine. Filo spinato, fango oltre il limite del tuo sguardo. Non riesci a
immaginare il rumore, non riesci a immaginare l’odore, le voci, gli sguardi, le
grida. Vittime, carnefici, assassinii. Ciò che risulta davvero inconcepibile è
l’idea di un posto predisposto per uccidere milioni di persone in poco tempo.
La strutturazione industriale delle parole “ti uccido”. Donna, uomo, bambino. Uno,
due, cento, mille. Un milione. Una metropoli sterminata ad Auschwitz.
A questa storia orrenda manca un tassello. Come se nella
ricostruzione lo si fosse dimenticato. Forse perché è complesso dare ruoli
completi nel pezzo di storia peggiore dell’umanità. O forse anche perché come soggetto
vario e diviso il popolo rom ha avuto difficoltà a rivendicare con forza il
riconoscimento della propria tragedia ad un livello storico globale. Il
tassello mancante è quello del genocidio nazista dei Rom e dei Sinti in Europa.
Il Genocidio Dimenticato.
Quanto la popolazione ebrea, il popolo Rom e Sinti ha
vissuto la discriminazione razziale, ha vissuto l’odio, ha vissuto i ghetti, la
segregazione, i pogrom. Poi, lo sterminio. Treni carichi di uomini, donne e
bambini Rom e Sinti ammassati in carri bestiame, esecuzioni sommarie nelle
strade e nei boschi, fosse comuni, Auschwitz, e decine di altri campi, le
camere a gas e i forni crematori. Un triangolo nero e la Zeta di zingaro sul
petto delle divise nei campi della morte. La Zeta di zingaro ed un numero
tatuato sul braccio. Ad Auschwitz, Mengele volle capire come mai le donne zingare
avevano un numero di parti gemellari superiore alla media. Sezionare bambini.
Molti dei suoi esperimenti furono sulle donne del “campo degli zingari” e sui
loro figli.
Il genocidio dimenticato conta 500.000 vittime. Il 2 Agosto
del 1944 la sezione del campo di sterminio di Auschwitz dedicata agli “zingari”
fu circondata dalle SS. Nelle settimane precedenti gli occupanti del campo
avevano dato vita ad una ribellione di resistenza, armati di pietre e bastoni.
Privi di forze, già quasi privi di vita i circa 4000 Rom e Sinti furono
assassinati nelle camere a gas e cremati la notte stessa. Il 2 agosto il popolo
Rom festeggia l’arrivo della metà dell’estate.
Un genocidio da cui nulla l’Europa ha imparato.
Il riconoscimento ufficiale che un piano di sterminio
studiato e programmato fu attuato dai nazisti contro la popolazione Rom e Sinti
europea avvenne da parte della Germania soltanto nel 1982. Ciò che preoccupa è la
constatazione di come sono trattati tutt’oggi i Rom e i Sinti in Europa; le
condizioni di segregazione e discriminazione in cui si trovano a dover vivere.
Se si può dire che (salvo estremismi) l’antisemitismo ai giorni nostri è
sostanzialmente sconfitto, non è per nulla così per quanto riguarda la
permanenza di un sentore “antizingaro” diffuso in maniera generica e
stratificata nella popolazione dei vari paesi europei , spesso alimentato dalle
politiche dei governi. In Europa Rom e Sinti sono di fatto trattati come persone
di seconda categoria. Spesso vivono in condizioni di segregazione esclusi
dall’accesso ai diritti di base dei cittadini ed in alcuni paesi addirittura
esclusi dall’accesso alle cure sanitarie. Migliaia sono gli episodi di razzismo
e violenza che si verificano nei confronti delle comunità Rom e Sinti:
aggressioni, incendi delle abitazioni, marce e manifestazioni razziste che
assumono i caratteri di veri e propri pogrom. E’ una lunga storia di
pregiudizio e discriminazione, una linea che già in passato ha visto il
passaggio dalla logica dell’esclusione a quella dello sterminio. Per questo è
importante rompere il silenzio che domina sulla storia del genocidio Rom e
Sinti e creare una memoria pubblica che faccia riconoscere quelli che sono i
tratti fondanti che ne hanno permesso il verificarsi e che purtroppo ad oggi
per alcuni aspetti sembrano in procinto di ripetersi.
Dik Ina Bistar
Cammino ai bordi dello stagno e il mio piede affonda di
pochi centimetri nel fango. Una rana verde, grossa quanto una moneta mi
saltella gracidando sulla scarpa. Un brivido scorre gelido su per la spina
dorsale. C’è una quiete surreale. Quel piccolo lago è davvero splendido, colmo
di vita, l’erba verde rigogliosa attorno, i rami degli alberi mossi appena dal
vento. In quelle acque torbide e serene giacciono le ceneri umane di centinaia
di migliaia di esseri. “Probabilmente mia madre e mio padre sono qui in questo
lago” dice nel suo discorso alla folla Zoni Weisz. E’ un Sinto, a sette anni è riuscito a
fuggire da un carro bestiame che lo stava deportando ad Auschwitz. Cinquecento
persone, Rom e Sinti e non. In piedi attorno a questo assurdo lago. Le facce
sono per lo più giovani, e vengono da tutta Europa. Ognuna con una storia alle
spalle. La bandiera verde e blu con la ruota rossa del carro sventola mentre
Zoni parla e racconta. La quiete di questo lago. L’infuriare del genocidio sessantenni
fa. “Voi non potete neanche immaginare”
Dik Ina Bistar.
Guarda e Non dimenticare.