27/06/15

Cecità


Parlami del buio . Di quell’immensa cortina che governa i tuoi occhi. Lasciami capire cosa ti arriva del mondo. Lasciami sentire il gusto della tua saliva a contatto con l’aria. Quello che mi sono sempre chiesto è se il buio ti rende solo. Se hai bisogno di sentire la voce degli altri per sapere che sono lì, anche se sai già che sono lì. Un buio senza parlato è un vuoto che dev’essere insopportabile. Come lo tasti il mondo, che cosa ci vedi in quel tocco? L’impotenza dev’essere una sensazione orribile. Quanto devono essere cari i tuoi ricordi d’immagine. Ricordi i volti? Ricordi il colore degli occhi? La consistenza di barbe e capelli, le linee dei corpi, dei sorrisi,, delle mani. Le ricordi? E il cielo te lo puoi immaginare? E il tramonto? Perché non chiedi mai? Perché non ti fai descrivere quando puoi?…le  persone adorano descrivere, la loro visione del mondo. Una mai uguale all’altra. Adattarsi a vivere nel buio dev’essere qualcosa di atroce. Non insopportabile ma intrinsecamente triste. Come si fa senza sguardi? Innamorarsi di una voce e delle mani. Da quanto esistono i ciechi? Da quanto si può vivere nel buio sapendo di non poterne uscire mai? Ricordo quella tua frase. Quei pochi che hanno riacquistato la vista poi si sono detti delusi. Perché le cose erano molto diverse da come le proiettavano nel buio. Meno intense, meno belle, meno vere. Le persone. Soprattutto le persone.
 
 
 

Sono seduto in una stanza. Sono quattro le pareti. Bianche di intonaco. Grigio scuro il pavimento in pietra. Bianco il soffitto da cui spande luce una lampadina gialla . Nulla in questa stanza, neanche una sedia. Siedo per terra, la schiena tra il muro e il pavimento. Non c’è porta in questa stanza. Non posso uscire. Solo una finestra al centro della parete. Si apre scura, senza vetro e senza infissi. Più che una finestra è una semplice apertura. Ma ci sono due persiane. Non di fuori. Di dentro dal muro. Come se l’esterno della finestra fossimo noi. Io e la stanza. E’ davvero buio là dentro. Fuori da quella finestra. Nero e immobile. Non un suono arriva. Neanche il canto di un grillo come ti aspetteresti da una notte. Neanche un soffio di vento e lo stormire delle foglie per farti sobbalzare alla presenza di nessuno. Non c’è niente lì dentro. Qua fuori solo un impercettibile ronzio. Una lampadina che brucia lenta illuminando cinque piani vuoti ed il mio volto pallido. Il ronzio della lampadina ed il  mio respiro. Dalla finestra la luce muore come assorbita dalla densità di quel buio nero e immobile. Mi fissa. Nel buio . Qualcosa. Da lì dentro a qua fuori. Lo so che c’è anche se tutto mi dice il contrario. E se non c’è è uguale. Mi fa paura lo stesso. Una paura intollerabile e spaventosa. Mi alzo e lo guardo. Quel buio lì fuori. Qui dentro. Mi alzo e vorrei gridargli qualcosa per istinto di sopravvivenza. Immagino solo per un istante di scavalcare quel davanzale ed uscire lì dentro da qua fuori. Nel buio. Restarci e scoprire toccando. Lo immagino solo per un istante ma poi lo guardo. L’oscuro. Il nero. Il niente. Qui fuori sono più al sicuro. Quattro pareti e il mio niente di luce. Sono più al sicuro. Non ne voglio sapere di buio. Spingo le persiane e le accosto. Qualcuno dall’altra parte le chiuderà. Sono più al sicuro qui fuori. Nel mio piccolo quadrato di sola luce. Nel mio piccolo cubo di pareti bianche. Senza buio. Da nessuna parte.

 
 

Questi nuovi scrittori nichilisti. Affanculo. Non sapeva neanche bene che fosse, davvero questo termine. Non sapeva neanche se domani si fosse suicidato e questa fosse stata la sua lettera d’addio, non sapeva mai se qualcuno l'avrebbe letta. Il fatto è che credeva di non farcela. Ce la metteva tutta, in ogni modo e da ogni prospettiva possibile ma aveva un senso di negatività totale verso gli altri e anche verso sè stesso e non si poteva vivere così. Non riusciva ad accettare la parte malvagia delle cose e neanche quella di sé stesso. Sentiva merda. Sentiva merda ovunque. Uscirgli dal naso. Sentiva quanto poco contassero le cose. Quanto molto fossero fugaci. Quanto niente ci voleva a fare il male e stare bene quanto molto ci volesse a fare il bene per poi comunque stare male. Sentiva l’inaccessibilità dei posti. Sentiva lontananza, oppressione, voglia di escludere e di passare oltre nel mondo. Sentiva la sua voce flebile e non voleva gridare. Perché voleva tanto che ci fosse chi ascoltava anche se era flebile la voce. Sentiva di non farcela e non sapeva bene come affrontare questa cosa. Dormire. Mangiare. Fumarsi delle siga per poi morire. Bere. Passeggiare da solo. Sfiancarsi d’attività fisica per poi non avere nulla da fare. Questo poteva essere un piano d’azione interessante. Oltre ovviamente a strabordarsi di seghe. Non serviva neanche l’amore, perché non lo sapeva rispettare. Per colpa o per causa imposta questo non lo sapeva ma non ha importanza. Non reggeva. Cieco alla vita. Nonostante avesse verificato di poter fare ciò che voleva se voleva. Non reggeva.
 
 
 

Parlami di te. Aprimi all'oscurità. Lasciami nel buio il calore del tuo corpo. Tastare con le dita il tuo viso. Cercare la cicatrice. Accarezzarla. Il polpastrello ruvido sulla tua debolezza. Sul segno tangibile della tua forza. Lasciami cieco. A nient'altro che a te. Lasciami il vuoto dentro. Un vuoto profondo. Appeso ad una cima senza corde. Scivolare sulla pioggia della roccia. Aggrappato senza più prese, ogni muscolo teso all'inevitabile caduta. Lasciami dentro questo vuoto e poi riempilo. Con una sola parola. Una parola qualunque. Tra le tue labbra. Un suono dolce che prende per mano. Un palmo fresco nell'afa e caldo nel gelo. Prendimi per mano e portami via. Non è difficile. Devi soltanto farlo. I piedi nudi sullo sterrato. I piedi nudi sull'erba. I piedi nudi sull'asfalto. Un passo dopo l'altro. I piedi nudi sulle pietre e sulla sabbia. Sotto un cielo grigio. Immergi i tuoi capelli in questo mare. Lasciati trasportare dalle onde. Aspetta. La pioggia cadrà sul tuo corpo. Lascialo alle onde. Guardami. Non affondi. Il mare ti culla. Il mare ti accarezza. Ti porta. Si mischia te. Ti genera. Come una dea. Non addormentarti. Non chiudere gli occhi. Guardami. La pioggia cadrà su di noi. Si è alzato il vento. Un vento gelido. La cosa che più percepisco senza te. Il mio mondo è solitudine. Estrema. E immaginazione distorta. Vorrei guardarti. Microscopica. Sorridere. Disegnata nel bianco e nero di un fumetto. Raccontami di quando. Portami nel nero del tuo sole con te. Ti sento cantare e non trovo un posto dove nascondermi. Ti sogno. Sogno il buio e le mie dita sul tuo viso. Sul tuo corpo. L'odore di un fiume. Mentre scendo su di te. L'odore sulle unghie. Di un fiume morbido. Pieno di pozze cristalline. In cui perdersi al sole. Il gusto di genziana. Tra le labbra. succhiando pelle. Il buio con te. Neanche uno spiraglio di luce. Solo il suono del tuo respiro. Soltanto il suono forte del tuo respiro.