18/02/13

RESPIRO

Riprendere possesso del mio corpo di uomo. Ricostruire la mia mente. Un passo dopo l’altro iniziando a respirare. Sono tutto quello che avrei potuto essere e non sono. Sono nulla. Sono una serie di errori accumulati. Insieme di insensata inazione e tempo lasciato correre sulla carne, tra le palpebre e su per le narici del naso dentro il cervello. Aria respirata male senza intenzione vera, aspettando qualcosa. Ora lo so. Non c’è mai un qualcosa. Non aspettarlo. Mi diceva il vecchio  Qualcosa è solo a posteriori, quando ti guardi indietro, oltre le spalle. Nella vita bisogna essere addestrati. Ma il fine dell’addestramento è l’addestramento stesso, la vita. Non c’è un momento in cui potrai smettere di farlo e sederti a guardare quello che hai lasciato. Qualcun altro lo farà per te, dopo di te. Sorseggiava il suo te con movimenti limpidi. Il suo sguardo dietro la tazzina di ceramica bianca sembrava proiettare in fuori l’infinito. Il suo tono era sempre del tutto tranquillo senza mai un’inflessione. Il suono della pioggia di un temporale senza tuoni. Nel momento in cui ti siedi e smetti di addestrarti inizi a morire. Perderai te stesso.
Riprendere possesso del mio corpo di uomo. In senso fisico. Sentire le fibre muscolari farsi meno flaccide e burrose, scolpire le linee delle braccia e del ventre, tornare a sentire possenza nei movimenti di spalle e gambe. Uno! Due Tre! Il fiato si condensa appena fuori la bocca. Il gelo del bosco si infrange sul calore del corpo.Flessioni. Fuma la mia pelle ed il silenzio della montagna è totale. Neanche lo scricchiolare minimo della neve. La forza dev’essere pronta ad essere usata. Arriverà sempre un momento in cui ne avrai bisogno, bisogno anche solo di sentirla, e dovrai farla emergere. Il vecchio mi porgeva il sacco di iuta. Cucito da mani callose e indurite dal tempo. Consumato dai pugni di decine di allievi. Ma la forza non viene da sé non è nascosta dentro, pronta ad uscire a comando. La forza va nutrita, cresciuta, mantenuta o quando la cercherai non la troverai più, neanche sotto il massimo dello sforzo. Mi guardava. Non c’era affetto in quello sguardo. La forza ti cambierà il respiro, ti cambierà lo sguardo ed i movimenti. Il tuo corpo avrà rispetto di sé stesso. Questo trasparirà negli occhi su di te, nelle voci che ti si rivolgeranno. La forza dev’essere ottenuta con lealtà, sacrificio e costanza. Non c’era affetto in quello sguardo. C’era solo un profondo rispetto. Un rispetto umano. Il corpo deve costruirsi, vivere respirare. Non deve gonfiarsi a sproposito. Il dolore della fatica va sentito e vissuto giorno dopo giorno. Serve a formarti. A formare la tua mente. Trenta! Mi alzo. Riprendo a correre nel bosco. Ogni venti passi un movimento accurato e un pugno al vuoto che mi sta davanti. La luce del crepuscolo tinge la neve d’acqua di lago alpino. I miei piedi non affondano. Questa è l’ora del giorno in cui il gelo si indurisce crepitando.
Riprendere possesso del mio corpo di uomo. In senso mentale. Sai cosa è bene e cosa è male. Non guardando gli altri, guardando te stesso. Il vecchio mi aveva preso accasciato in un angolo di strada. Il corpo corroso d’ alcool d’ogni tipo. Lo sguardo sfuso da qualche droga neanche troppo pesante. Eppure non ero un barbone. Una serata qualunque. Spinta come sempre un po’ più in là. Sai cosa è Sì e cosa è No. Rispettalo. Non per un qualche tipo di principio etico, morale o religioso. Per il tuo corpo , per la tua mente. Non ero neanche convinto di stare male. Ogni Sì rispettato è sicurezza, è serenità fisica ed interiore. Anzi in quel preciso momento mi stavo divertendo, o almeno avevo appena smesso di divertirmi. Ogni No rispettato è uno sguardo in più che puoi dare al mondo. Non è mai una rinuncia è una conquista. Il No rispettato mantiene la forza dentro di te e da te verso il mondo. La serata lunga e avevo esagerato. Un rigurgito mi aveva premuto sulla bocca dello stomaco. Ero uscito ed era stato sbocco acido. Poi il vecchio era comparso. Ogni Sì non attuato è un senso di colpa, è l’angoscia che piano scivola tra le interiora, accellera il respiro e il battito cardiaco e ti porta alla negazione, all’inazione, all’alienazione. Sulle prime mi aveva stupito. Era inappuntabile, ma non appariscente. Ero rimasto come ipnotizzato dai suoi folti baffi bianchi. Poi i nostri occhi si erano incrociati. Non c’era odio in quello sguardo. E neanche affetto. Ogni No violato è una macchia indelebile sulla tua persona. Piccolo o grande sarà comunque qualcosa che ti porterai cosciente dentro per tutta la vita. Questo fardello ti rallenterà nelle decisioni, nei sentimenti nel tuo sguardo sul mondo. Poi lo stato di alterazione mi aveva sopraffatto e tutto d’improvviso mi era sembrato grottesco. Sai cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ero scoppiato in una risata alcolica e sbiascicata. Ma il vecchio non rideva. Mi aveva invece porto la mano per aiutarmi a rialzarmi. Ero stanco e l’avevo presa. Non sperimentare il male. Ogni contaminazione si spande inesorabilmente dentro di te innescando reazioni mentali a catena di autogiustificazione ed ignoramento che ti porteranno per forza a ripeterlo, il male. Nel momento stesso in cui l’avevo sfiorata, con un movimento veloce il vecchio mi aveva girato il dito indice spezzandomelo di netto. Era stato così fulmineo che il dolore mi aveva inondato la bocca ancora prima che l’idea di un grido potesse nascere. In un attimo avevo visto tutto nero. L’ultima cosa che ricordo, l’iride nera del vecchio. Niente odio. Cera solo rispetto in quello sguardo. Sperimenta il bene perché questo ti costruisce ed il piacere che ne ricaverai sarà sempre e infinitamente più grande di quello che potrai avere dal male. Per questo mi aveva spezzato il dito. Perché entrambe potessimo sperimentare il bene.
Riprendere possesso del mio corpo in senso umano. Sapore di sangue in bocca. Il freddo mi accarezza i polmoni. Cartavetro tra i bronchi. Non scappare, affronta le cose. Se vuoi fare una cosa buona per te falla, indipendentemente dal mondo e dalle persone che ti circondano. Rispettali, rispetta la vita, con tutti i suoi difetti e le sue cattiverie ma non farti travolgere. Ho imparato ad apprezzare quel lieve dolore che accompagna lo sforzo. Mi forma scolpendomi a colpi di cuneo. Tu non sei loro e loro non sono te. Non seguire nessuno, non farti seguire da nessuno, ma se riesci, se vuoi, collabora. Sapendo che ogni collaborazione è destinata a terminare. Il vecchio mi aveva aiutato a rinascere. Per nessun motivo se non quello che era giusto farlo. Restituire un corpo ed una mente alla vita in un mondo di corpi e menti morti. Per lo più. Sii coerente nelle tue convinzioni, perché la coerenza esprime forza interiore e sicurezza del mondo. Non ammirare qualcuno, impara. Se vuoi fare una cosa falla. Un giorno il vecchio era sparito. Senza preavviso, senza lasciare traccia o speranza di farsi vivo nuovamente. Semplicemente non c’era più. Non avere paura della solitudine, cercala. Ogni tanto stacca. Stacca tutto, lascia il tuo telefono, il tuo computer, prendi uno zaino e cammina. Solo con te stesso 24 ore. Tu e la mente. Io e la mente. Quando tornerai sarai diverso. Il mondo sarà più soffice, benaccetto. Non sfuggire la solitudine, cercala. Neve. Mi fermo. La corsa è finita. Il respiro affannato i muscoli caldi il corpo pulsante. Ormai le ombre dominano la sera. Alzo lo sguardo verso il cielo terso. E’ ancora azzurro. Corpo, mente uomo. Più nulla tra me e la montagna. Riprendere possesso di me stesso. Grazie vecchio.

04/02/13

Lo scudo e le gradinate



Apro gli occhi. Sdraiato sul materassino da campeggio. Fisso il bianco delle piastrelle. Grumi di cartaigenica in poltiglia pendono dal soffitto che scende a spiovere. Lo scherzo di qualche burlone del passato. Rimasto lì a seccare per anni, ed ora dentro i miei occhi. Li chiudo. Qualcuno ha parlato. Un’ora. Un minuto. Un secondo. Un giorno. Li riapro. Le finestre di vetro ruvido inondano la stanza di una luce blu ghiaccio. Le cinque del mattino. Dove sono? Sono in uno spogliatoio allo stadio Carlini. Oggi è il 18 luglio del 2001. Qualcuno ha parlato. Le piastrelle rosse del pavimento. Due stanze, spogliatoi docce e cessi. Le panchine addosso ai muri sono ingombre di casse. Maschere antigas, caschi, guanti da lavoro, occhialini da saldatore e materassini da campeggio per le protezioni. Dormo affianco al generatore. Non fa freddo. Chiudo gli occhi, ma qualcuno parla di nuovo. Una voce ripetitiva dal tono preoccupato squillante. Svegliaa, alzatevi. Dobbiamo prepararci. Svegliaa. Svegliaa. Riapro gli occhi. Dall’altra parte della stanza dorme il Lencio. Non da segni di vita. Poco più in là Michele, si sta invece alzando. Il fastidio della voce litaniosa continua. Svegliaa alzatevii sveglia…Non riesco a capire da dove proviene. Forse da fuori. Cerco di issarmi sui gomiti, ma non è un vero tentativo. Richiudo gli occhi e sento i passi di Michele che esce dallo spogliatoio. Un’ora, un secondo, un giorno. Un minuto. Michele rientra e i suoi passi sono affrettati. “Ragazzi alzatevi c’è la polizia!”. Il respiro si blocca un istante ed una voce roca chiede “Stai scherzando?” Da sotto le palpebre capisco che è la mia. “No, vogliono fare una perquisizione, alzatevi!” Uno, due, tre secondi. Mi alzo di scatto, gira la testa e quella che mi passa in mente è una grande bestemmia. Il sonno in quei giorni è troppo poco e la lucidità alla mente fatica a venire. E’ l’alba. Anzi è il crepuscolo prima dell’alba. Scuoto il Lencio dallo stato di morte apparente e gli comunico la notizia. “Sveglia ci son gli sbirri” In mezzo secondo è già in piedi. Mi sciacquo la faccia con acqua fredda per cercare di raggiungere il mio stato cosciente. In quel momento entra di corsa un compagno. Lo vedo nello specchio prendere una sedia e nascondere un cubo di fumo sopra il neon che pende dal soffitto. Penso che non sia una grande idea nasconderlo nel magazzino dove teniamo il materiale per la piazza ma non dico nulla. “Se quando torni non c’è più non sono stato io”  lo apostrofo. Dai vieni e chiudiamo a chiave. Giù per il corridoio, su per le scale usciamo e siamo subito dall’ingresso. Lo sguardo va fuori dal cancello chiuso dove si affollano i compagni. Sbirri in assetto. Lo sguardo scorre sopra i caschi. E scorre e scorre e scorre e scorre….lo stomaco si stringe strizzato da dita forti ed invisibili. Mi faccio spazio e mi sporgo dal cancello…e scorre e scorre. Cazzo, sono tantissimi. Sembra che abbiano circondato lo stadio. Sguardi cattivi filtrano attraverso il plexiglass delle visiere. Sotto il casco blu qualcuno ha il viso coperto da fazzoletti alzati. Una voce arriva dal gruppo di contatto. Stanno per entrare! Cordone! Le braccia si incrociano forti e strette con i compagni. Uniti e compatti quel fiume di caschi neri e blu mette meno paura.  Due cordoni, uno di fronte all’altro. Un corridoio con pareti di uomini e donne. Si apre il cancello. Adrenalina nella presa delle braccia. Stanno entrando. No, non tutti. Solo una decina. Digos per lo più, circondati dai giornalisti e dal gruppo di contatto. Scorrono nel nostro corridoio umano passandoci davanti. Casarini ha il passo deciso e lo sguardo che non ammette repliche. La palla ora ce l’abbiamo noi. Anche se fuori gli sbirri sono centinaia. Entrano nel campo di terra e ghiaia. Noi restiamo immobili in alto sulle gradinate. Siamo tutti schierati e in cordone a guardarli passare. Fanno pochi passi poi Casarini si ferma. Raccoglie da terra uno scudo in plexiglass. In verde campeggia la scritta NO G8!  Lo mostra agli sbirri e lo mostra ai giornalisti. Poi si gira e lentamente lo alza verso le gradinate. Ci guarda, lo guardiamo e, cazzo, sembra davvero una specie di guerriero medievale. Boromir. Un brivido percorre la folla ed un applauso ed un unico grande grido d’approvazione rispondo ai riflessi del sole sullo scudo al cielo. Quello che stiamo facendo è dichiararlo. Senza paura, senza esitazione. Noi sfonderemo la zona rossa. E lo faremo così, solo con questi scudi, solo con i nostri corpi e non ci potrete fermare se non con abnorme violenza. Perché noi siamo nel giusto. Perché noi siamo il colore della terra. Gli sbirri vengono scortati fuori e mentre risalgono i gradoni un coro nasce spontaneo e cresce sempre più forte fino a farsi assordante. Genova libera, GENOVA LIBERA! GENOVA LIBERA! Affrettano il passo inseguiti da questo grido pressante ed escono. Dietro di loro neanche si chiude il cancello. Non abbiamo nulla da nascondere. Quelli che si nascondono dietro grate di ferro siete voi, otto grandi impauriti.  
Quella perquisizione forse non sarebbe dovuta andare così secondo i loro piani . Ma come sappiamo avrebbero avuto modo di rifarsi. Usando contro un unico corpo compatto e multiforme quell’abnorme violenza che è tipica del potere. Assassini aguzzini e bugiardi a difendere un sistema in procinto di collassare in una crisi globale. Otto. Eppure contro di loro l’umanità.