Foto di I. Franzese http:// |
La donna serpente rientrò dalla
scena. Strisce blu sulla pelle. Si guardò nuda nello specchio della roulotte.
Lo sguardo provato, triste. Non perdeva mai una scintilla di vita. Viso duro,
inespressivo. Splendido e orribile. Silenzio in quel camerino improvvisato. Le
mancava qualcosa ed una sensazione di rabbia e solitudine le graffiava
dolorosamente il petto. Presto avrebbe dovuto cominciare. Un’altra notte di
disgusto e finzione. Contrasse le dita rendendo la mano un artiglio. Sempre di
più, ogni volta avrebbe voluto affondare le unghie affilate dentro le loro gole.
Le sarebbe bastato un attimo. Quei grassoni avrebbero rantolato e sputato
sangue sotto la durezza dei suoi occhi gialli. Ma non poteva. Tempo prima, dopo
averla picchiata, uno di quei pervertiti le aveva chiesto di graffiarlo. Presa
dall’odio gli aveva aperto cinque squarci nella schiena e il materasso si era
inzuppato di rosso. Era rimasta a guardarlo strillare come un maiale. Ma attirati
dalle grida loro erano entrati. L’avevano spaventata e aveva provato paura. Non per la sua vita, no. Tarek, l’unica cosa
che per lei contava davvero. L’avevano preso e stretto e il cuore le si era
fatto piccolo piccolo. L’avevano messo sul pavimento e avevano minacciato di
prendergli a calci la testa. Si era buttata per terra piangendo ed urlando ed era
stata nuovamente nelle loro mani. Il vecchio, incosciente ma vivo, era stato
fatto rotolare fuori dalla roulotte ed erano scappati. Verso un’altra città.
Verso un altro locale. Verso un’altra notte d’inferno. Ma non sarebbe stato sempre
così. Non per sempre. La porta alle sue spalle si aprì e Frank il rosso entrò
con il suo solito ghigno. La guardò come sempre faceva. Affascinato e
intimorito. Crudele. “Preparati!” le disse “ Sta per arrivare e sembra uno
molto esigente. Ti ha pagata a peso d’oro. Accontentalo.” Un lampo minaccioso
passò negli occhi da faina. “Voglio sentirlo gridare di piacere non di dolore.
Non deludermi.”Sorrise. Si girò per andarsene ma la donna serpente emise un sibilo
aggressivo, quasi un ringhio. Frank il rosso trasalì e si voltò sicuro, cattivo nello sguardo. Il sogghigno si
allargò ulteriormente. Finse una faccia di stupore e poi scoppiò in una rumorosa
risata. Il verso di una iena. “La signora vuole vederlo vero?” Disse sostenuto.
“Patetica. Sei patetica lo sai?” La donna serpente non rispose. Non parlava.
Non parlava mai. Dal giorno dell’incidente alla fabbrica. Non aveva più
pronunciato una parola. “E sia. Te lo faccio vedere. Come ogni notte.” Disse
con finta benevolenza. Ma subito il tono si fece duro e feroce. “Lui è mio! Se
io decido lui muore. Tu sei mia! La mia unica puttana. Con te le altre non servono
più. Lavora bene e sarai ripagata.
Lavora male e lui soffrirà atrocemente. Non scordartelo mai! Sei mia!” La donna
serpente lo fissò con odio. “Joseph!” gridò forte il rosso. La porta si
spalancò e un arabo grosso quanto un toro entrò tenendo tra le braccia un
fagotto di stoffa grigia. Il cuore iniziò a martellarle e il sangue si fece
caldo. Anche il blu sulla pelle parve
attenuarsi un poco. Il fagotto si muoveva.
Dita. Incredibilmente piccole si spostavano
lentamente. La mano fu la prima cosa che spuntò dall’involto di stracci.
L’emozione di un silenzio. I polpastrelli saggiavano la consistenza dell’aria
come a poterla accarezzare. Vita che imparava a vivere, a riconoscere. Poi
Tarek si svegliò ed iniziò a piangere. La madre si avvicinò. Pose il calore del
seno sul suo viso. Con un suono tenero cercò di tranquillizzarlo. Dal profondo
della gola presto il suono si fece melodia. Dolce,lenta, lontana. Armonie che
da sempre le mamme cantano ai bambini. Quando il sole scende su quel deserto
che chiamiamo terra. Quando il mondo fa più paura e si ha più bisogno l’uno
dell’altro. Di una voce materna. Di un contatto tiepido, amniotico. La mano
accarezzò le dita. Nulla esisteva più. Madre e figlio. Tepore cutaneo e l’amore
in un gesto. Il minuscolo polso nella mano. Una carezza appena accennata. Tarek
non piangeva più. Occhi scuri, neri come la pece. Socchiusi, appena vivi. La
vicinanza di quel ventre che l’aveva formato. Un cuoricino che batte e la
placenta rilassata. Una vibrazione dolce che sale su per la spina dorsale. Fino
alla base del collo. Due esseri in uno. Concepimento e attesa. Vissuti corporei
simbiotici per nove lunghissimi mesi. Poi il travaglio. Come un compagno di
cella con cui si condivide tutto. Poi l’evasione. Solo per uno. Distacco e deprivazione.
Generato precoce, sempre troppo precoce nell’ansia del mondo. Mai pronto ad
affrontarlo. Espulso dal giaciglio caldo e sicuro, tra mille contrazioni si
rompe il legame più intimo della vita. Gracile, raccolto, il primo fiato è
sempre un grido d’orrore. Orrore come segnale di vita. Il contatto è la prima
risposta. Un odore familiare, un istinto che guida verso il battito riconosciuto,
lo stesso udito nella pancia. Il contatto è la prima risposta. All’angoscia del
mondo. Poi viene la voce, la fronte, le labbra. Fasciato, accudito dalla
dispensatrice di vita. Il sentimento di un dito avvolto da minuscole manine.
Stringere l’indice materno, la prima vera interazione esterna tra due esseri
che si amano. La percezione riflessa in uno sguardo e il primo sorriso. Tarek seguiva
il viso della madre. Tarek vedeva.
”Ora basta!” gridò forte Frank il
rosso interrompendo con una manata il contatto tra i due. La melodia della
madre s’interruppe e si affievolì persa lontana nel vento. Sentì nocche viscide
tra la pelle e il figlio. Tarek iniziò a piangere. Joseph il grosso arabo si
mise a ridere grugnendo. In quel momento qualche cosa cambiò. Nulla. In realtà
non fece nulla. Se non sbattere le palpebre. La donna serpente strinse appena
il braccio di Frank il rosso. I suoi occhi non erano mai stati così gialli.
L’istinto animale dell’arabo fu l’unica cosa che provò a farlo agire. Smise di
grugnire e tentò di muoversi. Ma ormai era troppo tardi. La donna serpente
contrasse le dita rendendo la mano un artiglio. Le bastò un gesto. Ci fu un
suono secco e poi silenzio. “ Hai proprio ragione Frank.” Disse con un sibilo al suo sguardo di terrore.”Ora
basta.”
“Signore! Signore!” Gridava
l’appuntato uscendo di corsa dalla roulotte. “ oh Cristo ! “ mormorò rischiando
di scivolare su una pozza rossastra. “Signore…” gridò raggiungendolo, ma prima
che potesse continuare il conato di vomito che aveva trattenuto gli schizzò
dalla bocca e si trovò a vomitare ai piedi del capo. Il maresciallo fumava
impassibile guardando nel buio del bosco. Il fumo del sigaro si perdeva nella
notte. L’appuntato si riprese gorgogliando e si alzò in piedi pieno di
vergogna. “Signore..” disse cercando di ridarsi un tono. “E’ un macello!”
Trattenne a stento un altro conato. “Qui è un macello!” Continuò pulendosi la
bocca con un fazzoletto.” Carne ovunque! Non riusciamo a capire quanti siano i
corpi.. c’è quell’arabo, quel toro con la gola tranciata di netto. Per lui
dev’essere stata veloce ma per gli altri…” Il maresciallo buttò fuori una
boccata di fumo. “Due.” disse sempre guardando nel buio. “E poi signore sembra
che non sia stata usata nessuna arma da taglio…solo unghie e dita ma non può essere…” esitò un attimo. “come
dice?” Il maresciallo tirò forte dal sigaro. Aspirò profondamente ed espirò
alzando la testa alle stelle. Poi tornò a guardare l’oscurità. “Due. I corpi
sono due. “ disse senza emozioni. “Fate ripulire il posto. Provate a vedere se
quel vecchio ciccione riesce a dire qualcosa di sensato e poi andiamocene via.”
Due agenti trascinavano un vecchio verso una gazzella. Il frac impiastrato di
rosso e fango girdava sconclusionato. “Serpente! Striscia! Bambino!” e scuoteva nevroticamente la testa mormorando “Aiuto!
Aiuto! No! Aiuto! “Gli occhi vitrei fissi davanti “No!” gridò forte mente lo
facevano sedere nella macchina ”No!”
L’appuntato guardava parlando la scena “Signore..pare che il vecchio
abbia solo sentito le grida dalla roulotte. Non ha visto niente. L’abbiamo
trovato tremante nascosto in un cespuglio. Ma signore i corpi non possono
essere solo due….” Per la prima volta il maresciallo distolse lo sguardo per
puntarlo sul suo sottoposto Un attimo di silenzio. Nella mente le immagini di un teatro fumoso, vecchi sgomitanti,
bicchieri di whiskey ed una donna bellissima sdraiata sul palco. Blu. Gli occhi
gialli. Quanto faceva paura. Non si era azzardato a fare mezza offerta. Lui
beveva e guardava. Qualcuno disse che quel mostro aveva un figlio. ”Due”. Ripetè.” Joseph il
toro, guardia del corpo e assassino da osteria e Frank il rosso. Truffatore e
magnaccia da quattro soldi. I corpi sono due”. Girò il viso verso il bosco. Ora
fai sgomberare prima che ti faccia rapporto.
“…e questa è la storia di come Tarek,
liberatore dei popoli dell’Africa del Nord, colui la cui scimitarra ci ha
guidato e redento… questa è la storia di come Tarek nacque. Battezzato nel
sangue dei suoi nemici. Ora basta, si va a dormire.” Disse il nonno e svuotò la pipa
nel fuoco del camino.”