26/09/15

Summertime


La donna sussurò fissando il buio della finestra. Non ci fu risposta. Quanti ricordi in quella sera, quante immagini nella mente. Fuggiva. Fuggiva in memorie di altri luoghi,di altri tempi, di altre persone perché lì, ora quell’afa era opprimente. Fuggiva al sudore, all’ansia, al silenzio. Fuggiva al pensiero duro di lui. Il Silenzio. Ormai era diventato una costante tra loro. Non era fatto di sguardi. Non era semplice assenza di suono perché a volte si può stare insieme senza bisogno di dire nulla, soltanto percependo lo scorrere della vita nel corpo dell’altro. No, non era quel tipo di silenzio. Era assenza totale. Anche quando erano vicini, nella stessa stanza, nello stesso letto addirittura. Erano distanti. Tutti e due. Da un’altra parte, lontano, con altri visi davanti agli occhi. Anche quando parlavano in realtà era silenzio. Parole vuote, prive di senso reale, domande lasciate a cadere senza risposta, senza pretesa di risposta. Dialogo muto, lo chiamava. Le sarebbe piaciuto imparare la lingua dei segni. Forse senza parole, con i gesti delle mani e le espressioni del viso….forse così sarebbero riusciti a parlare. Di nuovo. A dirsi davvero qualcosa. Silenzio. Quante volte avevano lasciato squillare il telefono in quel gelo assoluto. Dieci, quindici trilli poi la linea cadeva. Lei leggeva un libro, lui guardava la tv. I bambini studiavano in camera. Il bisogno di dire tanto. La voglia di dire niente. A volte lo sguardo di lei cadeva sul suo collo. L’immaginazione partiva e il desiderio che lui le parlasse finalmente, come una volta o forse come non aveva mai fatto…quel desiderio la travolgeva. La attanagliava, la mandava in agitazione. Dimmi qualcosa ti prego, dimmi qualcosa. Ma lui non diceva niente. Oppure forse percepiva e allora parlava ma il suo tono era di ghiaccio e il senso non c’era. “Riesci a star ferma su quella cazzo di sedia? Non riesco a sentire il tg…”  “ non abbiamo ancora pagato l’assicurazione dell’auto, vai tu o devo farlo io?” o più spesso diceva soltanto “Domani non ci sono”. Lei allora non diceva nulla. Il suo desiderio di lui si spezzava in un attimo. L’espressione cambiava, si faceva vuota, un’altra volta. I suoi occhi tornavano alle pagine di Baricco. A sognare tra i libri. Inutile insistere. Inutile chiedere dove, quando, come. Non avrebbe risposto. Non poteva rispondere. Silenzio. Era sempre silenzio. Finché quell’atonia senza note, quel mondo di sguardi vacui e di gesti non visti esplodeva d’improvviso. Bicchieri contro i muri, tavole rovesciate, porte sfasciate a furia di sbattersi. Urla, lacrime, sfinimento. Oppure a volte, d’improvviso, il sesso. La notte, la sera, il bisogno reciproco di sfogarsi di sentirsi vivi si tramutava in un'attrazione imprevista, animalesca. Lo sentivano in un attimo quel calore. Dopo tanto i loro occhi si incrociavano per caso e bastava quello. La prendeva con foga e le sue mani erano forti e dure. I vestiti cadevano, le lingue si fondevano in un'unica bocca bagnata, pulsante. Sentiva i suoi peli, sentiva il suo corpo e le unghie di lei lasciavano segni di passione nella carne. I loro corpi si aggrovigliavano, rotolavano, si schiacciavano. Poi dentro di lei. Un pugno di marmo arroventato la trafiggeva. Gridava, gridava forte, assaporava liquidi e sudore, mordeva si lasciava totalmente andare a quella potenza. Godeva, voleva godere, disperatamente provare sensazioni forti, immergersi il cervello di adrenalina. Gridava fino a quando si sentiva inondare. Bollente e denso. Tantissimo. Le piaceva sentirlo lento nella carne,colare mischiandosi al suo piacere. Ma in quell’attimo tutto finiva. Il corpo le si irrigidiva come legno secco. Il piacere si bloccava troncato da un dolore improvviso. Più grande, più insopportabile. Si bloccava. Lui finiva. Lo sentiva muoversi sopra di lei. Le si sdraiava accanto ansimando e chiudendo gli occhi, dovunque fossero. Sul letto, sul divano, sul pavimento. Lei si alzava subito. “Vado in bagno a sciacquarmi” diceva. Nella solitudine piastrellata di quella stanza appoggiava la testa al lavandino e lacrime dure venivano fuori. Non voleva davanti a lui. Chissà forse avrebbe cambiato tutto, forse lui l’avrebbe consolata, forse avrebbe capito. Ma lei non voleva. Orgoglio da donna del sud. Quando ritornava, lui sempre dormiva esausto. Lei nascondeva. Si vergognava. Si chiedeva se i bambini non l’avessero sentita. Gridare e poi piangere. Sapeva che non potevano. Si sentiva ferita. La sua sensibilità di madre. Il suo orgoglio di donna. Bisognosa di calore, di un calore qualunque, gli si sdraiava accanto. Si addormentava anche lei. Al suo risveglio lui non c’era più. “Vado. Torno presto”. Non è vero. Ogni volta che tu parti, per me è come se fossi morto.

 

Quei pensieri, il buio della finestra, un nodo allo stomaco. La donna sentì che non poteva più resistere. Per un attimo ebbe la folle idea di buttarsi giù. Ma fu solo una frazione di secondo. Non l’avrebbe mai fatto. Era forte. Un suono morbido aprì l’afa della sera. Di nuovo. E quella dolcezza si portò via lo sconforto tutto d’un tratto. Tutto insieme. La tromba, com’era dolce. Suonava lenta un’aria…la conosceva… summertime. Quanta passione in quelle note. La donna fissò la finestra più in basso di fronte. Una luce tenue e giallastra usciva insieme alla musica dal vuoto dei vetri aperti. Chissà chi è che suona, si chiese. Un uomo per la sua donna. Hanno appena fatto l’amore e lei lo fissa con occhi grandi da sotto lenzuola di seta scure. O forse un vecchio negro. La tromba di suo padre e prima ancora di suo nonno. Ne sfiora il bocchino, soffiando la onora. O un uomo solo. Perso in sé stesso. I capelli lunghi e bianchi, sulle spalle. Le mani e il viso segnati dal sole di una vita di lavoro. La tromba è stata sempre la sua unica donna. L’amante fredda di notti solitarie con una bottiglia di grappa sul comodino. Summeeertiime and the livin' is easy…cantò lei a bassa voce accompagnando a distanza il soffio tenero della melodia. Non ne era del tutto consapevole, ma la sua voce era bellissima. Fish are jumpin'and the cotton is hiiiigh…e la sua mente partì. A quando lui era sdraiato nel crepuscolo di una stanza e lei cantava per lui. A quando si erano conosciuti e avevano fatto l'amore per sere e sere consecutivamente. Perchè non era sempre stato così. Non lo era sempre stato. One of these mornings....you're going to rise up singing...Then you'll spread your wings...And you'll take to the sky





 

24/09/15

La pianista


Quando lei  suonava, qualcosa cambiava nell'aria. Era lo sfasamento di un battito. Al primo premere sui tasti. Al centro del petto, poco sotto la gola. Le dita piccole ma lunghe e affusolate si posavano sul piano. Non ti saresti mai aspettato un suono così. Le voci si zittivano. Il respiro si placava in silenzio. Dal ghiaccio dei suoi occhi. Potenza che fluiva. Lungo le braccia, attraverso le mani. Onda contro rocce affioranti. Il mare profondo. La pioggia. Il corpo sommerso, abbandonato, amniotico all'acqua. Tempesta nel cervello, al primo premere. Alla base del collo. Dita piccole lunghe affusolate. Dita sporche di terra, di legno, di pietra. Dita da donna. Incrostate di farina e di erba. Dita forti,  al primo premere sulla schiena di un uomo. Scivolando sulla pelle, lasciando impronta di sé tra i muscoli tesi. Tra le corde. Sulla spina dorsale. Dentro al legno del piano. Nella mente, al centro del solco, ribollendo materia celebrale sconosciuta.
Quando suonava, qualcosa cambiava nell'aria. L'azione restava sospesa. Il tempo rallentava. Tutto si proiettava al di fuori dei muri di pietra. In una dimensione altra, oltre ai monti. Dentro la quiete oscura del bosco. Buttato tra i fili d'erba mossi dal vento. Quel suono si univa al fragore del torrente. tra la schiuma e i sassi del fondo. Giù in fondo.
Quando lei suonava la trasparenza dei suoi occhi si espandeva nella stanza. L'acqua di un ghiacciaio  sfumata appena al centro di giallo. Un colore indefinito di sole, di ghiaccio, di colza. Un fuoco inspiegabile, caldo e luminoso. Avvolgente. Come i suoi occhi. Come la musica. Giù per le braccia attraverso le mani.  
Quando lei suonava.

 
 
 

Frontiere


Domenica 13 Settembre 2015

Sei e venti del mattino. Campo No Border di Ventimiglia. Piove sul bagnato. Il mare diventa grigio, il cielo di piombo rilascia le prime piogge torrenziali di un autunno non ancora arrivato. Ormai in Liguria ci siamo abituati. Passato agosto ogni volta che goccia così la paura si fa sentire. Piove sulle tende appoggiate sull'asfalto. Piove tra gli scogli e sui migranti. I teli messi a protezione non bastano. Piove sul campo No Border. La bolla. Ad appena cinquanta metri dalla frontiera con la Francia. L'acqua filtra nelle tende gocciolando sui corpi, scorre fin sotto il ponte dove la maggior parte delle persone si è accampata. Impregna le coperte, i sacchi a pelo, si accumula sui teloni di protezione creando cascate improvvise, bagna i vestiti, le ossa, la pelle. Infreddolisce e se non si ha un posto dove stare al chiuso e scaldarsi questo freddo può diventare pericoloso. Siamo appena a settembre. Una pioggia così scoraggerebbe chiunque.

Sei e venti del mattino. Campo No Border di Ventimiglia. Braccia e corpi si mettono al lavoro. In un attimo il campo brulica di mani e di visi sempre meno assonnati. Si smontano alcune tende, si portano in salvo coperte e vestiti, si svuotano i teloni protettivi dalle pozze, si spazza via l'acqua mano a mano che arriva. Dita nere, gambe bianche si passano cose sorridono imprecano s'infangano assieme in una decina di lingue diverse. Fratelli. Sorelle. Compagni. Nel mentre, anche chi ha fatto il turno di guardia la notte non va a riposare. Viene preparata la colazione. Per chi lavora, per chi riposa, per chi è lì per proseguire il suo viaggio. Un viaggio giusto.


Sei e venti del mattino. Campo No Border di Ventimiglia. Le frontiere non esistono. Basta dare uno sguardo verso il mare per averne la certezza. Mentone è lì, anche attraverso la pioggia. Sembra quasi di poterla toccare allungando una mano. Invece no. C'è quel bizzarro gabbiotto in mezzo alla strada e le camionette di polizia e gendarmerie.  Appena poco dopo il cartello blu con la scritta "Francia" incorniciata dalle stellette dell'Unione Europea. E' trafficata la frontiera. Passano i francesi in Italia a comprare sigarette, passano gli Italiani in Francia a comprare benzina. Passano arroganti le auto di lusso targate Montecarlo. Non si fermano neanche davanti a un blocco pacifico di protesta, investendo un ragazzo armato di telecamera. Gira al campo con un collare medico ora, lavora, come tutti, sotto la pioggia. Passano gli europei, passano i ricchi ma se sei nero no, non puoi passare. Se il tuo viaggio è QUEL  viaggio, la frontiera si chiude. Ti rimandano indietro, sotto un ponte, sotto la pioggia, sopra gli scogli. Eppure prima o poi passano.  Tutti.

A Ventimiglia c'è soltanto uno stop. Di fratellanza, di comunità, di resistenza. A Ventimiglia c'è una lotta nata sugli scogli resistendo alla violenza della polizia. A Ventimiglia le teste sono alte e i cuori si scaldano. Ci si guarda negli occhi, si parla si ride, si decide insieme. Uomini e donne. Si balla. Stretti e vicini. Da ogni parte del mondo, da ogni parte d'Italia, da ogni parte d'Europa. Non esiste assistenzialismo. C'è mutualità. C'è lotta.

Sei e venti del mattino. Campo No Border di Ventimiglia. Ormai è chiaro, l'inverno sta arrivando. Così qui non si può stare. Ma è anche chiaro che nessuno ha intenzione di chiudere e che le persone qui continueranno ad arrivare. Sono decenni che arrivano. La decisione allora è presa in un attimo. Un calcio alle minacce mafiose per cui è nota questa zona della Liguria. Un calcio ai fogli di via che la questura distribuisce come caramelle anche a chi a Ventimiglia magari non ci abita ma ci lavora e ci vive. Un calcio all'ordinanza del sindaco, giovane rampante del PD, che vieta di distribuire cibo ai migranti a scopo di solidarietà. La serranda è già aperta. Si prende possesso dello stabile vuoto adiacente al campo. E' in stato di forte degrado. Ma di nuovo braccia e corpi si mettono al lavoro e dita nere e gambe bianche puliscono lavano trasportano. L'inverno sta arrivando. Molti di questi uomini e donne hanno sfiorato la morte , in mare per giorni, a un passo dal nulla. Non sarà questo inverno a fermarli.

Sei e venti del mattino. Campo No Border di Ventimiglia.. Se non ci sei ancora stato vienici.

Perchè qui scorre il flusso vitale del mondo.