30/05/12

Newsmaking decimo e nono


Dedicato a due amici e compagni
Picci batté l’ultimo tasto della parola conclusiva dell’articolo e si girò per guardarsi intorno. Il giornalista seduto alla scrivania dietro di lui abbassò subito lo sguardo fingendo di essere impegnato nello studio di qualche dato importante sui suoi fogli. Picci ne dedusse che il giornalista lo stava osservando sospettoso.  Non era normale che uno dei fonici di radio 119 (la radio legata al quotidiano) si mettesse seduto a battere un testo ad uno dei computer della redazione del giornale cartaceo ed effettivamente Picci non l’aveva mai fatto prima. Questa volta però aveva deciso di mettere in gioco il tutto per tutto.  Era stufo di leggere minchiate e falsità diffuse da quel giornale del cazzo in tutta la città e la regione.  In particolare non poteva tollerare che si scrivessero stronzate sulla pelle di quella persona in quel particolare momento. Dopo aver dato una rilettura veloce al testo tirò fuori dalla tasca una chiavetta e la infilò nel computer. Il giornalista continuava a sbirciarlo con un occhio solo cercando di non far notare la sua sorveglianza. Quel posto era pieno di spie e Picci era da tempo virtualmente schedato come un sovversivo che prima o poi avrebbe potuto creare problemi. Non ne era certo ma sospettava che spesso i giornalisti e i suoi colleghi andassero in segreto a riferire su di lui al direttore. Estrasse la chiavetta su cui aveva caricato l’articolo e piano, come se i suoi gesti fossero spensierati e casuali si alzò per dirigersi verso il terminale di stampa.  Una fredda goccia di sudore gli imperlava la fronte. Era tardi e la redazione era quasi vuota. I computer erano in stand-by e le luci erano spente sulla maggior parte delle scrivanie del vasto salone. A breve il giornale sarebbe andato in stampa e qualunque cosa fosse stata spedita dal terminale in quel momento sarebbe stata impaginata automaticamente e passata direttamente alle rotative. Non ci sarebbe stato il tempo di bloccarne la diffusione. Mentre si avvicinava al terminale  vide con la coda dell’occhio che il giornalista ormai lo  fissava apertamente  e che ora aveva alzato la cornetta del telefono e stava componendo un numero. Il giornalista aveva capito e Picci doveva sbrigarsi. In quei giorni aveva cercato di protestare contro la serie di puttanate diffuse dal giornale ma non era stato neanche lontanamente preso in considerazione ed anzi il direttore l’aveva velatamente minacciato di licenziamento se non fosse rimasto al suo posto. Ma ora basta, era ora di finirla e di dire la verità.  Infilò la chiavetta e caricò l’articolo sul terminale. In basso sulla sinistra dello schermo un count-down a cifre rosse segnava il tempo ultimo entro il quale era possibile spedire qualcosa prima che le rotative iniziassero a stampare. Segnava un minuto e zero due alla stampa. Il giornalista chiuse il telefono ed iniziò ad alzarsi. Nel corridoio adiacente al salone Picci udì  aprirsi cigolando la porta vetri del direttore. L’articolo finì di caricarsi e apparve una finestra. Vuoi sostituire l’articolo esistente? . Dal corridoio proveniva il suono di passi affrettati, le scarpe di pelle dura del direttore battevano sinistre contro il marmo del pavimento. Una serie di finestre si aprirono in successione sullo schermo. Il giornalista intanto si stava avviando verso di lui chiamandolo per nome “Ehi Cristiano! Ti devo parlare..”. Lo ignorò. Vuoi sostituire la firma all’articolo in stampa?” No.  Vuoi sostituire la foto?Sì.  Picci caricò la foto che aveva sulla pennetta. “Vuoi impaginare  allo stesso modo? Sì.  Caricamento.  Le cifre rosse segnavano ora 50 secondi. Il direttore con la sua figura tozza spuntò dal corridoio e quasi si mise a correre.  “Cristiano fermati ti devo parlare…”  diceva il giornalista anche lui ora quasi correndo. Vuoi inviare l’articolo.  . “Sei sicuro?  Si, cazzo!  40 secondi rossi.  Articolo pronto ad essere inviato. Per dare ultima conferma premere” Invio”.  Picci alzò il braccio e il suo dito indice stava quasi per premere il tasto quando si sentì afferrare vigorosamente il polso. Il suo polpastrello rimase bloccato sfiorando appena la scritta nera “Invio”. Picci alzò lo sguardo e gli occhi glaciali del direttore lo stavano fissando con odio. A meno di cinque centimetri  dal suo viso le labbra fetide del direttore dissero minacciose: “Ulivi cosa pensa di fare?”. Da sotto quei baffi grigi il suo alito puzzava di uova marce. Nel frattempo il giornalista li aveva raggiunti e stava ritto a braccia conserte in piedi dietro la sua sedia.  30 secondi. Picci si alzò allargando un finto sorriso. La stretta dell’omino tozzo era d’acciaio. “Ma no direttore -disse sempre sorridendo- cosa pensa! La Farlero mi ha chiesto di correggere il suo articolo sulla puzza-di-piedi-degli-adolescenti-in-città e lo stavo mandando adesso…”  Un lampo di esitazione passò nelle iridi scure del direttore. La puzza di piedi degli adolescenti in città era il pezzo forte dell’edizione del giorno dopo. La Farlero si era guadagnata la prima pagina con tanto di fotografie a colori. Tutto doveva essere perfetto in quel servizio perché, come il direttore stesso era  solito ripetere:  “Il nostro è un grande giornale!”  25 secondi. Quell’esitazione era l’effetto che Picci aveva cercato. Sentì la stretta  al polso allentarsi lievemente. Il giornalista dietro di lui stava per ribattere che era assurdo che Ulivi non si occupava mai di quelle cose ma Picci non gli lasciò il tempo di aprir bocca. Con il braccio libero sferrò un pugno alla tempia del direttore. La forza dell’impatto fu tale che questi rotolò su una scrivania e portandosi dietro lo schermo di un computer cadde dall’altra parte in una nuvola di fogli. 15 secondi. Picci si girò verso il giornalista che era rimasto sbigottito, immobile con la bocca aperta ed un dito alzato come se stesse ancora per parlare. Come un toro, Cristiano lo caricò con una testata allo stomaco.  Nello slancio i due percorsero un paio di metri e poi sfondarono la parete di vetro che, nel salone, separava l’ufficio dedicato alla cronaca nera. La lastra esplose in milioni di fragorosi frammenti.  Insanguinato Picci si alzò dal corpo incosciente del giornalista in camicia bianca e corse verso il terminale di stampa. “ Mancano dieci secondi alla stampa del giornale!”  diceva una voce metallica femminile proveniente dall’apparecchio.  9, 8 ,..  Puntò il dito verso la tastiera ma in quel momento sentì una fitta atroce al polpaccio destro. Da terra, semisvenuto, il direttore aveva trovato la forza di piantargli una matita nella gamba.  Picci cadde e gridò in un gemito di sofferenza. 7, 6..  In uno zampillio di sangue estrasse la matita dalla carne del muscolo.  Il direttore cercò di afferrarlo per il risvolto dei pantaloni.  Picci si divincolò e gli sferrò un calcio sul naso sentendolo frantumarsi sotto la suola della scarpa. Che soddisfazione … 5, 4.. Con uno sforzo sovraumano si issò sul bordo della scrivania ma la mano sporca di sangue scivolò sullo spigolo  3,2.. Prima di cadere Picci sferrò una manata casuale sulla tastiera.  1, 0 : “Il giornale è andato in stampa”  disse la voce metallica del terminale.  Sdraiato in terra esausto  Picci non riusciva più ad alzarsi. Il sangue usciva a fiotti dalla sua gamba ed una pozza scura si stava allargando sul pavimento. Sentì le forze svanire e piano i suoi occhi si chiusero nel buio più assoluto.  Sullo schermo sopra di lui una finestra lampeggiava ad intermittenza.

 L’articolo è stato inviato con successo . premere “Ok” per continuare.


(questo è un racconto di fantasia, ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale)


1 commento:

  1. bellissimo!!!sembra l'incipit di un noir!

    Erika

    RispondiElimina

Se lasci un commento...firmati!