21/10/12

La strega



Gli avevano detto che lì c’era una strega e Lindo ci aveva creduto. Gli era stato detto da un vecchio, alla locanda di quel posto sperduto. Soltanto boschi e strade buie e il gorgogliare dei torrenti in crepacci coperti di foglie. Lindo stava mangiando da solo seduto a un tavolo di quercia.
 Lo faceva spesso. Mettersi in macchina sulla Statale e andare. Senza una meta, senza una vera direzione, senza conoscere i luoghi. Fermandosi solo quando trovava quella dolce sensazione in cui cullarsi. La sensazione di insignificante. Di un posto che anche se non fosse esistito al mondo non sarebbe cambiato niente. Qui dominava il nulla. Gli alberi, vegetazione marcia e intricata nel sottobosco. Acquitrini, funghi, legno bagnato, freddo umido e odore di muffa. Rumori e versi sinistri tra l’oscurità delle frasche. Nessuno conosceva questi posti e chi ci viveva avrebbe voluto andarsene via. I pochi che restavano ammuffivano, i lineamenti del viso si indurivano di solitudine. Il tono di voce diventava basso e grezzo, più abituato a parlare coi tronchi e le pietre che con gli uomini. Chi restava diventava amico del vino, di primo mattino, all’alba, le mani screpolate nell’uso di attrezzi arrugginiti, e al pomeriggio ed alla sera. Finché era più vino che sangue nel corpo, la notte. Quelle notti senza luci, senza stelle, solo il profilo scuro delle rocce coperte di arbusti. Neanche le stelle. Per chi restava, la dimensione della normalità consisteva in un continuo vacillare tra indolenza e follia. Una zappa nel collo, una sega elettrica che scappava di mano…l’impulso omicida non era poi così raro in quei posti. Il vecchio beveva un rosso senza etichetta e lo fissava. La faccia sfatta, la barba di una settimana e un tic che lo costringeva a chiudere l’occhio sinistro ogni tre secondi. Si versò un altro bicchiere e continuò a fissarlo. Astio e sospetto nel suo sguardo. Lindo lo ignorava. Sapeva che il vecchio aveva delle cose da dire. Ma sapeva anche che in quei posti nessuno amava i forestieri. Tutto stava nel vedere se avrebbe vinto l’odio per lo straniero o l’impellente bisogno di raccontare. Narrare quelle poche cose interessanti che aveva appreso nella vita. Lo ignorava aspettando. Si concentrava sul piatto, rapito dalla zuppa di cinghiale. Quando posò il cucchiaio e si accese una sigaretta finalmente il vecchio si decise e parlò. I suoi denti erano giallo-zolfo e zolfo era anche l’alito che usciva dalla bocca impastata da un vino acido. “Questo posto non esiste” disse in tono aggressivo. “Come scusi? “ chiese Lindo simulando di non aver sentito bene. “Questo posto non esiste!” Ripeté duro il vecchio. “ Perché sei venuto?” ma poi non aspettò risposta e continuò. Era una caratteristica degli uomini di quei luoghi, non ascoltavano. Se parlavano era per essere ascoltati. Non gli importava nulla della città da cui provenivi, delle esperienze che avevi fatto, di quello che avresti potuto raccontargli. Se parlavano era perché dovevi stare a sentire. Tu nuovo paio di orecchie a cui raccontare storie già dette, opinioni convinte che non sarebbero cambiate mai. A volte erano storie banali. Tristi e buie, di anni di carestia, di malattie, di tumori, di morti improvvise. Di beghe di confine tra campi e pascoli, di giovani rimaste improvvisamente gravide e sole… altre volte erano più strane, affascinanti. Frutto dell’emarginazione o della follia. Storie pescate dai recessi remoti delle valli. Da buie cantine, da stalle interrate, da giorni di nebbia e foschia. Grida, lamenti sotto un cielo di piombo. Queste ultime erano le storie che Lindo voleva sentire e lo vedeva dallo sguardo perso del vecchio. Stava per raccontarne una. Una di queste storie. “ Questo posto non esiste.” Ripeté per la terza volta. “Prima! Prima esisteva. Prima c’era un sacco di gente, quando c’era la cava e si trasportavano pietre. Qui era sempre pieno e si giocava a carte e si beveva! E giravano soldi e gente di Roma e Milano… ingegnieri ed esperti di roccia giù al fiume. C’erano giovani e si lavorava. Poi la cava ha chiuso e tutti erano più tristi. Ma tanti…- scolò il bicchiere e se lo riempì in un lampo -…tanti erano rimasti, tante buone famiglie, donne, ragazzi, lavoratori.” Il vecchio si fermò. Per un momento Lindo pensò che non avesse più nulla da dire. Il suo sguardo era perso nel vuoto. Ricordi di bei tempi, di quando forse lì c’era stato un motivo per cui tirare avanti. Taceva, immobile. Lindo stava già per alzarsi ed andare a pagare quando il vecchio riprese e quasi gridò  “Prima! Ora non esiste! Tutti morti, tutti matti! da quando… -fece una pausa e il suo tono si abbassò - da quando è arrivata Lei ” D’istinto il suo sguardo vagò intorno intimorito cercando qualcuno che fortunatamente non c’era e non poteva sentire . Lindo percepì qualcosa. Si agitò interessato sulla sedia ed una strana sensazione gli pervase la nuca, alla base del collo. Si protese e  guardò dentro agli occhi del vecchio. Occhi grigi e spaventati. “Lei chi?” chiese.
“Lei” rispose il vecchio con un filo di voce. “La strega”.

La pioggia era fine e costante. Penetrava a fondo nei vestiti lasciando lento filtrare il freddo nella carne fino alle ossa.Fin dentro il midollo denso e spugnoso. Forse non era stata una buona idea addentrarsi nel bosco seguendo le indicazioni del vecchio. Quanto tempo prima? Un’ora, due non ricordava più. In quella notte totale Lindo aveva perso la cognizione dello spazio e del tempo. Nel buio riusciva solo a percepire la consistenza del terreno fangoso sotto i piedi. Le foglie umide dei rami sulla faccia. Avanti, riusciva solo ad andare avanti. Senza sapere bene verso dove. Avanzava. Non aveva altra scelta. Il pendio saliva ripido sempre più scivoloso e impraticabile. Non c’era sentiero. Scivolava. Le mani in una poltiglia di terra e foglie. “Merda!” pensò. In che situazione si era messo. Si arrampicava con l’obiettivo di scollinare. Cercare oltre il bosco  una luce anche lontana in quella notte di pece. Forse dall’altra parte avrebbe intravisto qualcosa. Un paese magari. Le case sarebbero sembrate sospese nel vuoto, puntine di gesso su una lavagna scura d’ardesia. Versi indistinti arrivavano dal fitto della foresta tutt’intorno. Lindo non riusciva a capire a che razza di animale potessero appartenere. Non erano cinghiali. Sembravano grida. Aveva rinunciato, il casolare non l’avrebbe trovato. Eppure il vecchio aveva detto che ci sarebbe arrivato per forza. Nonostante gli avesse intimato di non andarci. “Nel bosco, qualunque strada tu prenda ci arriverai.  Anche se non vuoi. Anche se pensavi di andare da tutt’altra parte. Albero dopo albero te lo ritroverai davanti, d’improvviso. E a quel punto non potrai più farci nulla.”  Lindo aveva sorriso. Era colpito infine dal vecchio. Non tanto per quello che aveva raccontato, quanto perché ascoltandolo aveva percepito nei suoi tremori di voce, nei suoi sguardi persi o sfuggenti un’inquietudine autentica. Il vecchio aveva paura. Aveva realmente paura. Un'altra di quelle grida. Merda ma che cos’erano! Più vicina delle altre. Un misto tra l’urlo di una cornacchia e la risata di una iena. Un fruscio. L’improvviso suono secco di rami che si spezzano e qualcosa di grosso scappò incespicando verso valle. Nulla. Non vedeva nulla. Ora davvero non era più tranquillo. Non per i racconti del vecchio. Sentiva che quel bosco avrebbe potuto inglobarlo per giorni e nessuno lo avrebbe mai ritrovato. Ansimando appoggiato a un tronco ruttò vino e zuppa di cinghiale. Il vecchio aveva pronunciato la parola strega. Lindo si era seduto al tavolo con lui e aveva ordinato un’altra bottiglia di rosso. Aveva lasciato passare un po’ di tempo per dargli modo di perdersi nei suoi ricordi. Quando ci si è totalmente dentro con la testa, con lo sguardo, col sudore, le storie si raccontano meglio. Le immagini sono più vivide, ricche di particolari, di informazioni. Aveva sorseggiato anche lui l’aspro del vino forte, senza nome. “Le streghe non esistono.“ aveva poi detto platealmente. La provocazione era studiata per ottenere una reazione. Il vecchio era subito scattato.  Assalito da una collera accesa, si era girato guardandolo torvo. Lindo quasi sorrideva. Ora avrebbe provato a convincerlo e  avrebbe potuto capire se mentiva o meno. Se era un folle soltanto o se c’era del vero nelle sue parole. Avrebbe capito cosa c’era in quel bosco. “E’ una strega!” aveva gridato il vecchio. “Matti, tutti matti i giovani di questo paese! Si vedevano.. si vedono in quel casolare in mezzo al bosco! -parlava veloce, senza pause, preso dall’ansia-  Fanno riti strani usano droghe e uno di loro si lascia prendere dalla strega! Lo prende gli entra dentro nella mente nel cuore e il giovane grida si muove si agita prende oggetti a caso li sbatte li scuote. Suoni orribili suoni infernali escono da quel bosco! Suoni così forti così duri che il solo udirli rende folli rende cattivi! Tutti uno ad uno nei paesi dei dintorni. Tornano con qualcosa di diverso nello sguardo, con un sorriso maligno sul volto. Parlano sempre di meno non lavorano non mangiano fino a sera. Ballano e gridano soli sui prati e nei boschi. Fotografano pietre, pozze d’acqua dipingono il diavolo. Perdono l’anima!E poi il fuoco! Un fuoco grande, enorme. Tutte quelle sere Tutte! E loro lo agitano lo prendono lo usano!” Si era interrotto. Aveva ripreso fiato e ricominciato con una voce tremula ma più calma “Tutti ad uno ad uno, in gruppi di dieci, di venti. Vanno come se un suono udito solo da loro li richiamasse verso quella cascina. Vanno sempre più spesso. Fino a che in un paio d’anni non tornano più. Spariti  Ed ora che qui non ce ne sono arrivano anche da fuori, dalle città.. per lei. I suoi adepti. Per la strega. Per quella bag..”era caduto  in un improvviso accesso di tosse rauca e violenta. Lindo aveva sorriso. Ora aveva le informazioni che cercava. Qualcosa evidentemente in quel bosco succedeva e lui voleva scoprire cosa. Il vecchio si riprese e lo fissò da vicino, da troppo vicino. L’occhio cisposo si chiudeva convulsamente nel tic. Lindo aveva percepito l’odore di muffa provenire dalla bocca sdentata. “ Non andare!” aveva poi detto solennemente il vecchio e, investito dall’alito, per poco Lindo non aveva vomitato. “ Non andare!” ma si era alzato, aveva pagato il conto ed era uscito nella notte.
“Merda!” pensò di nuovo. Non gliene fregava più niente della strega, niente del casolare. Voleva solo uscire da quel bosco maledetto. Ritrovare una strada asfaltata e incamminarsi verso la macchina. Avrebbe dormito tre giorni una volta arrivato a casa. “Fanculo al vecchio pazzo” pensò. Poi la sentì. Lontana ma chiara. Lo stomaco gli si attorcigliò come un panno strizzato. Sopra gli scricchiolii dei rami, attraverso la pioggia che scuoteva le foglie, tra i versi degli animali.  Il suono potente di una fisarmonica.
Profondo. Solo due note, ma l’intensità di quel suono sembrava provenire dalle profondità della terra. Il buio si fece magnetico e i suoi piedi si mossero da soli. Lindo si trascinò sul fango verso la fisarmonica lontana. Una nota bassa ed una fonda. Entrambe lunghe da riempire il corpo fino alla gola. Non c’era melodia, c’era solo il suono. Come quando si entra in un capannone dove sono in funzione dei macchinari. Non c’è rumore, ma un frastuono che ti investe e ti prende con sé. Tutto è dentro quel suono, ogni movimento ogni parola, ogni pensiero, ogni altro tono. Diventa parte integrante dell’udito, avvolge l’aria e i colori e quando improvvisamente cessa, per una frazione di secondo si percepisce il passaggio ad un altro mondo, ad un'altra materia. Riemergere dall’acqua dopo un tuffo. Profondo. I suoi piedi si muovevano e Lindo quasi non se ne accorgeva. Non riusciva a vedere nulla oltre l’albero che di volta in volta gli si parava davanti. Scendeva. Rapito dal fragore della fisarmonica che si faceva sempre più vicino, sempre più grande. Non riusciva a formulare pensieri. Ad ogni passo il suono aumentava spaventosamente di volume finché il suo stomaco iniziò a vibrare dei bassi ed anche se avesse parlato Lindo non si sarebbe sentito. Doveva quasi essere arrivato. Poi lo stacco improvviso, la fisarmonica cessò in mezzo alla prima nota e un grido lacerante percosse l’aria scioccando il bosco e le rocce. Il timpano gli premette sul cervello e gli parve che gli alberi si spezzassero e si  protendessero verso di lui. Un urlo lunghissimo e prima che l’eco potesse spegnerne lo schianto, un altro identico si replicò nella valle. Lindo chiuse gli occhi, porto le mani alle orecchie e si lasciò cadere in ginocchio nel fango. Quella voce lo attraversò dall’aorta all’osso sacro dentro alla spina dorsale. Era una donna. Ma senza tempo. Una voce dolce. La Terra. Veniva da lontano, da molto lontano e da sotto le scarpe. Risuonarono le rupi violentate dalle ruspe, i massacri dei popoli delle selve e delle pianure, mille voci dai cimiteri di guerra, ghiacciai che si sciolgono, densi fumi neri nel cielo e il fuoco nelle foreste. Risuonarono valli innevate, placidi torrenti gelidi, lo sciabordio di onde sugli scogli e il verso di mille cicale. Sofferenza vita ed un grido di guerra vero e profondo. Il sangue gli scorreva veloce nelle vene, le tempie pulsavano prossime a scoppiare. Lance alzate al sole, frecce incoccate pronte a scagliarsi, fionde caricate dietro alle barricate, fucili tra la boscaglia,  sassi nelle vie stretti forte con le dita. Rabbia e sopravvivenza. Lotta e angoscia. Sangue. La Terra gridava il suo dolore. Profondo.
Piano. Sempre più piano e poi l’urlo si spense. Lindo si sentì esausto come dopo uno sforzo improponibile. La pioggia cadeva ancora. Radi aghi d’acqua sugli alberi. La fronte cedette in avanti ed incontrò il duro tronco di un albero. Gli occhi ancora chiusi, strizzati, le mani a premere sui timpani. La pelle si sbucciò di corteccia e un rivolo rosso cadde immediato sulle ciglia. Lindo schiuse le palpebre. Era arrivato. Lo sentiva.
Si alzò, oltrepassò un albero e si trovò davanti al muro. Pietre antiche, nere, umide. “…ci arriverai. Anche se non vuoi. Anche se pensavi di andare da tutt’altra parte. Albero dopo albero te lo ritroverai davanti, d’improvviso.” Un brivido lo scosse. Il vecchio aveva ragione. “..a quel punto non potrai più farci nulla.” Era vero. Era tutto vero. A tastoni seguì il muro nel buio. Terra e sangue incrostati sul viso. Non riusciva controllare un tremito convulso alla mascella. Silenzio.  Solo un ronzio magnetico e costante. Sembrava provenire da dentro le mura. Basso, quasi sussurrato gli parve di udire un vocio e poi il crepitìo di un fuoco. Luce oltre l’angolo in fondo. I piedi lo guidarono veloci come se non fossero membra del suo corpo, dolorante fin dentro il midollo. Svoltò. La fiamma sarà stata alta almeno due metri. Il bagliore giallo lo accecò. Dentro ad un ampio cerchio di pietre sul prato, ciocchi e tronchi d’albero bruciavano come fiammiferi. Intorno nessuno. Il calore sprigionato era ustionante. D’istinto le mani andarono a proteggere  il volto. Poi, piano le pupille si adattarono al bagliore. Avvicinandosi alla fiamma individuò un apertura nel muro del casolare. Un ingresso senza vetri né porte. Ne usciva una luce rossastra. Agì d’impulso. Tra lo scoppiettare dell’immensa brace si avvicinò silenzioso e gettò uno sguardo dentro. Quindici ragazzi erano seduti sul pavimento di legno. Uomini e donne. Bisbigliavano, qualcuno fumava . La stanza era ampia. Davanti a loro erano accatastati degli oggetti senza un senso, senza una logica. Uno specchio, un asse di legno, l’asta di un microfono , una specie di tubo che non riusciva a capire che cosa fosse, decine di scatoline e pedali, un intrico di cavi elettrici, un altro specchio, due enormi casse stereo da cui proveniva il ronzio, la fisarmonica ed un violino appoggiato alla parete. La ragazza seduta al centro del gruppo si alzò dicendo qualcosa. Tutti  guardarono verso l’ingresso e a Lindo gelò il sangue. Rumore di passi dietro alle sue spalle. Si girò ed una figura in camicia bianca gli passò accanto. Era emersa da dietro il falò, prima nascosta dal bagliore. Bloccato dal panico non riusciva a muoversi ad emettere un grido. La figura, quasi lo sfiorò ma parve non vederlo. Era un uomo sulla trentina dai movimenti lenti e meccanici con gli occhi spiritati e fissi davanti a sé. L’uomo lo oltrepassò e varcò la soglia. Silenzio. Lindo non riuscì a trattenersi e spiò di nuovo. Il giovane era fermo in mezzo alla stanza. Tutti guardavano lui, lui guardava il violino. Nessuno si muoveva. Lo sguardo di Lindo cadde sulla donna in piedi e il cuore gli balzò in gola. Sembrava che lo stesse guardando. Era alta, il capo quasi toccava il basso soffitto dello stanzone. I capelli sciolti, neri, lunghissimi le sfioravano i piedi. Nudi tra le schegge del legno. Al centro del viso, al di sopra del naso un orecchino d’acciaio le attraversava la carne. Sotto quelle sopracciglia marcate, in quegli occhi vitrei, Lindo vide la follia e sentì il male. Era lei… La strega lo stava fissando. Ebbe paura ma la donna spostò lo sguardo e d’improvviso il giovane in camicia si mosse. Afferrò con foga il violino appoggiato al muro, lo fissò, lo avvicinò alle labbra finchè il suo fiato non fu condensa sul legno e poi tirò un grido agghiacciante. Lo strumento vibrò e un suono distorto fu amplificato mille volte. Un fragore devastante, una frana in montagna. L’uomo iniziò a battere con le mani sul violino e a tirarne le corde con le dita. Ogni suono prodotto non spariva, si allungava nell’aria, tornava e ritornava ciclico sommandosi ai successivi e più picchiava gridava e tirava, più suoni si aggiungevano ad un frastuono insopportabile. Di nuovo Lindo fu investito da quell’impatto sonoro, si sentì attraversare e strinse le mani contro la pietra dello stipite. I giovani seduti in terra avevano iniziato a scuotere piano la testa. Annuivano compiaciuti come sentissero un ritmo. Lindo gridava, sentiva l’aria premere forte sulle ossa dei timpani ma le sue grida non potevano essere udite, si confondevano nel delirio generale che pervadeva ogni cosa. Gridava e non riusciva a fermarsi,  guardò la strega che lo fissava di nuovo. Le dita della donna si muovevano violente e ad ogni suo  movimento corrispondeva un movimento convulso del giovane, tutti scuotevano la testa, il calore era insopportabile, Lindo gridava, Lindo chiuse gli occhi. Fu allora che lo sentì. Il ritmo. Gli arrivò nella testa come una coltellata al cervello. Non era un ammasso di rumori casuali. Ogni produzione sonora contribuiva a formare un’onda complessiva, potente, densa..la percepì all’improvviso. La sentì sulla pelle la sentì scivolare vischiosa sul collo. Un alito denso rauco e profondo. Il respiro titanico di una creatura orrenda, roccia fusa, fuoco e sangue. Qualcosa lo ingoiava nelle oscurità di un cavo orale abissale. Lo trascinava nel buio profondo. Nella terra. Nella morte. Lindo era stato sepolto  vivo. Il male. Udiva il male,  gridava e si agitava. Senza riuscire a smettere. Ormai perso. Ormai folle.

D’improvviso la musica tacque  e rimase solo il suo grido d’orrore. Sentì una mano calda sfiorargli le dita gelide. Aprì gli occhi. “Hei ma sei fuori?”  La strega era lì. Lo guardava e lo toccava, gli prese il polso. Il suo sguardo era panico. Non disse nulla, con uno strattone si staccò dalla presa e fuggì tra gli alberi. Superato il muro di piante il suo grido si affievolì nell’oscurità. Si allontanò. Sempre di più. Fino a scomparire nel buio. Inglobato dal bosco.
La strega si girò stupita verso i suoi adepti.
“ Raga ma cos’è uno scherzo o un’altra performance?” “ Comunque è stato figo!” “Io non m’ero accorto che ci fosse fino a che non abbiamo chiuso la musica” “boh dai sarà qualche matto del paese” “ Ma l’hai visto? Era coperto di sangue!” “Dovremmo chiamare la forestale.” “Ma no dai che non si può perdere, la strada è vicina.” “Magari era uno tipo, come si dice… epilettico!” “Ma che epilettico! Chissà cosa s’era calato quello!” “Si sveglierà domani sotto un albero chiedendosi come c’è arrivato e poi se ne andrà a casa.” “Ma nessuno lo conosceva?” “Mai visto prima” ”il posto lo conoscono molti ormai” “può essere che abbia visto l’evento su facebook..” “Che scoppiato!” “Comunque figa la performance col violino!” “M’ha colpito di brutto!” “ Si bella! Davvero bravo!” “ Anche la tipa con la fisarmonica ha davvero spaccato!” “Bom , io mi sa che vado, si sta facendo tardi” “Anch’io che domani lavoro” “ Quand’è che ci si vede?” “Forse sabato prossimo, ci son questi due artisti che vorrebbero suonare qui. Vi mando i link da youtube”. “ Dai ci si becca” “ io ti do una mano a pulire” “Ciao raga!” “Ciao!”

Il buio regnava sui monti e sulle valli. Di Lindo non si seppe più nulla. Ma certe leggende dei monti raccontano di un uomo che lasciò la città per cercar delle storie. Si fermò nel nulla, si avventurò tra gli alberi la notte e non ne tornò mai più.

 Inglobato dal bosco.


1 commento:

  1. Descrizioni molto evocative e d'impatto...mi sembra che la tua scrittura si faccia sempre più fluida e matura!
    E.

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