05/09/18

Augh

Quando Rob entrò all'assemblea il vociare si spense. Calò il silenzio. Tutti si voltarono a guardare l'ingresso della sala. Lui rimase sullo stipite, ricacciò in gola l'ultimo tiro della sigaretta e lo sputò nel gelo del piazzale. Gettò il mozzicone e si fece avanti. Nessuno diceva nulla, allora Rob, calcando i passi verso la sedia mi lanciò uno sguardo. Ripresi a parlare, consapevole che non erano le mie le parole in attesa di essere ascoltate.  "Se non ci muoviamo ora" dissi "il rischio è che più della metà di noi già da lunedì rimanga a casa".  Poco prima ad ogni mia affermazione ribattevano in cento accavallandosi l'un latro e parlandomi sopra.  Ora che c'era Rob però nessuno fiatava. Sapevano che eravamo dalla stessa parte. E che quello che ora io dicevo l'avrebbe presto ripetuto lui  dopo, in altro modo. Continuai, osservandolo e non capendo perché non prendesse  lui la parola. " Se gli diamo il tempo di mandarci le lettere a casa potrebbe essere troppo tardi".  Rob  aveva accavallato le gambe e mi guardava come fosse uno degli altri, come se fosse la prima volta che ascoltava quelle parole. Con quei capelli sembrava un Comanche. Un fottuto capo indiano che se ne stesse lì ad ascoltare cosa aveva da dirsi la tribù prima di parlare. Stringeva in mano uno zippo in metallo e lasciava correre lo sguardo sui volti studiandone con rabbia i lineamenti. Più andavo avanti più lo si sentiva fremere sulla sedia. " Dobbiamo fare qualcosa e farlo ora. Nessuno di noi è diverso. Non dobbiamo accettare il discorso ' tengono me e mandano a casa lui'. Non c'è qualcuno di migliore. Siamo tutti uguali. Per loro noi siamo solo numeri e conti da far tornare". Rob si era sporto verso il centro del circolo di sedie .Tamburellava  con il piede sul linoleum. Gli scarponi da lavoro sembravano far parte di lui . Li indossava anche quando uscivamo la sera. Li aveva indossati anche il giorno del mio matrimonio. Era il testimone. Giacca cravatta, jeans e scarponi da lavoro. Quello era il suo concetto di eleganza. Il bianco di una striatura gli attraversava la lunghezza dei capelli. Vedevo l'impazienza sul suo volto e calcai la mano per  arrivare lì dove volevamo. "Bisogna agire ora appena conclusa l'assemblea. Ci alziamo e andiamo a bloccare i macchinari. Poi mettiamo un lucchettone alla porta e occupiamo la fabbrica." Esplose il vociare e le sedie stridettero tutte insieme.  Cosa dici, come facciamo? E lo stipendio?  Così ci licenziano tutti nessuno escluso! Qualcuno si alzò in piedi agitando le braccia. Non si capiva più nulla e non potevo riprendere la parola. Quello era stato il mio modo per passare il testimone a Rob. Era ancora seduto. Scrutava quello sfogo di massa seguendo i più esagitati. Gli avevo passato la pipa della pace. Quella che ti permette di parlare e di essere ascoltato. Sia alzò e fu di nuovo il silenzio. Augh capo Rob. Falli neri Pensai. Augh. Svettava nella sala.  I suoi capelli ondeggiavano sulle spalle anche se di vento, lì dentro non ce n'era. La luce dei neon si assorbiva nella profondità dello sguardo. Le labbra si erano increspate strette l'una sull'altra. Chi era ancora in piedi si sedette. Rob allungò due passi al centro. La testa china pareva fissasse gli scarponi. Giocherellava con lo zippo nella mano. Aspettò ancora un minuto. Non mi sono mai capacitato di quella teatralità. Mi sono sempre chiesto se fosse una parte vera di lui o se fosse più che altro una recita. Ma funzionava. Alzò il capo e a quel punto parlò.

 Vi sembrerà assurdo ma non ricordo una sola parola di quello che disse. Mi ero estraniato rapito dal fascino di quello che stava succedendo. Lo osservai volteggiare in mezzo agli sguardi. Indicare le persone domandare e pretendere risposte che poi non lasciava concludere. Sentivo il tono della sua voce entrarmi nelle orecchie e scivolare giù fino al cuore. Come il calore di un sorso di ruhm. Lo vidi creare immagini nelle menti. Spezzarci in due con la paura ed il senso di colpa e poi ricostruirci nell'idea della lotta. Aggrottava le sopracciglia e ti faceva credere di stare parlando da solo con te. L'oscurità dei capelli e del velo di barba contrastavano con il pallore del viso. Un capo indiano o Gesù di Pasolini. L'inconfutabilità usciva dalla sua bocca. La logica, la giustizia. Non ricordo per quanto tempo parlò, per quanto danzò in mezzo a quell'arena improvvisata. "... e se anche ci verranno a prendere uno per uno avremo avuto la forze di guardargli negli occhi". Ma quando finì non c'era più nulla da dire. Chi non era d'accordo era stato ferito a morte, preso sul personale e ora non avrebbe reagito. Chi aveva dei dubbi sei li era ingoiati. Anche a forza. Chi invece sperava e voleva, ora era galvanizzato. Una scintilla sarebbe bastata.  Dall'arena mi guardò. Era il modo ancora per passarmi la palla.  Ero esausto. provato da quel flusso di parole dalla densità che si percepiva nell'aria.  Squadrai la folla intorno. Tutte le facce erano come la mia. Sicure dell'inevitabilità di quello che andava fatto. Di quello che lui ci aveva convinti che andava fatto. "Andiamo " dissi. Non c'era altro da dire e tutti insieme ci alzammo. Augh.

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